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12 bias da evitare nel recruiting

May 4, 2021
 
iCIMS Staff
5 min read

Come assicurarsi di assumere un candidato per le giuste ragioni?

I recruiter, come qualsiasi altro essere umano, sono soggetti a pregiudizi ed interferenze: bias cognitivi. Questi sono dei preconcetti che, proprio in quanto inconsapevoli, portano a commettere errori di interpretazione, percezione o giudizio.

Sarebbe opportuno che un pò tutti all’interno di un’organizzazione siano consapevoli di queste interferenze di giudizio e, a maggior ragione, i team di risorse umane, essendo composti da persone che hanno l’obiettivo di selezionare le risorse migliori all’interno dell’azienda, devono essere molto attenti e consapevoli degli altri rispetto agli eventuali errori di valutazione a cui sono esposti.

 

#1. Cos’è un bias cognitivo?

Secondo Merriam-Webster, un bias è un errore sistematico presente in un campionamento o in un test, che consiste nel selezionare o nel preferire una risposta rispetto ad un’altra.

Di fronte ad un flusso eccessivo di informazioni da elaborare, il cervello utilizza spesso scorciatoie per gestire le situazioni, classificando le informazioni in base all’esperienza personale. Con questo meccanismo, si generano inevitabilmente dei preconcetti, causati da distorsioni di memoria e da analisi basate su convinzioni personali. Di seguito ti elenchiamo i principali meccanismi cognitivi a cui prestare attenzione.

#2. Quando la memoria gioca brutti scherzi

 

Il primo bias cognitivo è di tipo mnemonico.

I bias legati alla memoria sono il risultato di distorsioni di giudizio causate principalmente, come prevedibile, agli effetti della memoria. Quando si legge un CV o si parla con un candidato, si tendono a ricordare alcuni elementi più di altri, e si dà in tal modo un giudizio che non tiene conto di tutti gli elementi necessari per una valutazione obiettiva.

1. Effetto recency: è più facile ricordare le informazioni che sono state lette, visualizzate o ascoltate per ultime. Questo pregiudizio ti fa preferire l’ultimo candidato idoneo che hai incontrato, semplicemente perché il colloquio è ‘più fresco’ nella tua mente.

2. Effetto della semplice esposizione: è il fenomeno che porta a sviluppare una preferenza per le caratteristiche con le quali si ha maggiore familiarità. Questo pregiudizio ti fa provare emozioni più positive nei confronti di un candidato con il quale si è avuto un contatto precedente, ad esempio ad un contatto ad un evento, piuttosto che nei confronti di un candidato che ha appena iniziato il processo di recruitment.

3. Effetto primacy: anche conosciuto come effetto della prima impressione o ancoraggio mentale, identifica un errore cognitivo per cui le prime informazioni ricevute determinano l’impressione complessiva del candidato. Ad esempio, se un candidato arriva in ritardo, significa che non è interessato alla posizione. Oppure, se la sua stretta di mano è un po’ debole, potresti pensare che non abbia fiducia in sé o che non possieda abilità di leadership.

#3. Bias che rafforzano le convinzioni

Siamo naturalmente attratti dai dettagli che confermano le nostre convinzioni preesistenti. Nel prendere una decisione, il cervello terrà conto di ciò che sa già, quindi alcuni errori di valutazione sono direttamente correlati alle nostre convinzioni e pregiudizi.

4. Il bias della previsione o del falso consenso: tendiamo a pensare che la maggior parte delle persone pensi e ragioni come noi, oppure che sia d’accordo con noi. Questo pregiudizio pone un problema per due ragioni: in primo luogo, un recruiter potrebbe scambiare elementi come valori familiari o hobby in comune per una competenza per un ruolo specifico. In secondo luogo, questo bias è anche responsabile dell’assunzione di ‘cloni’ in un’azienda, vale a dire che si tenderà a voler assumere ex studenti della stessa università, dipendenti senior saranno inclini a selezionare persone simili a loro, ecc.

5. Stereotipi o pregiudizi impliciti: implica l’associazione di determinati tratti di personalità sulla base di informazioni casuali, con conseguenti conclusioni affrettate. È il pregiudizio che ti porterà a dire: ‘questo candidato gioca in diverse squadre sportive. Deve essere quindi molto socievole e sicuramente non ama lavorare in solitudine’, oppure ‘questo candidato si è laureato in un’università prestigiosa, sarà quindi ovviamente più esperto degli altri’.

6. Effetto alone: simile allo stereotipo, è paragonabile al motto ‘vede solo ciò che vuole vedere’. In altre parole, la prima impressione su un candidato avrà un effetto a catena sulle interazioni successive. Ad esempio, potresti percepire un candidato attraente come competente, giudicando invece in modo più rigoroso chi è meno piacevole esteticamente.

#4. Bias che influenzano il giudizio

 

Questi pregiudizi si verificano in situazioni in cui il recruiter cerca inconsciamente di verificare o convalidare una sua ipotesi preesistente su un candidato. Così, senza rendersene conto, indirizzerà le domande del colloquio per cercare di confermare la sua convinzione.

7. Effetto framing: è un bias cognitivo che ti porta a porre le domande al candidato in base alla connotazione positiva o negativa delle tue convinzioni, illudendoti di avere già a disposizione il quadro completo della situazione. Questo pregiudizio farà sì che tu ponga le tue domande al candidato in modo da permettergli di indirizzare la sua risposta: ‘Sai usare Photoshop, quindi sei una persona creativa?’ In questo caso, il rischio è che il candidato dica quello che tu vuoi sentire, invece di mostrarsi per quello che è realmente.

8. L’effetto di contrasto: indica un miglioramento o un peggioramento del giudizio a seguito della precedente esposizione a qualcosa di qualità inferiore o superiore, ma con le stesse caratteristiche di base. Si verifica ad esempio quando pensi di aver individuato il candidato ideale dopo un colloquio: i colloqui successivi con gli altri candidati non saranno altrettanto entusiasmanti o interessanti, dal momento che hai già preso una decisione. Non offrire ad ogni candidato le medesime possibilità di riuscita potrebbe portarti a selezionare la persona sbagliata per le ragioni sbagliate.

#5. Reclutare è un processo di persuasione

Nella ricerca dei talenti migliori, un recruiter deve ‘vendere’ la posizione lavorativa e l’azienda a potenziali assunti, i quali devono proporre a loro volta la loro identità personale. Tuttavia, alcune informazioni potrebbero venire mal interpretate a causa di, guarda caso, altri bias cognitivi!

9. Il bias della straordinarietà: quando si tende a valorizzare maggiormente qualcuno che ha un’abilità o una caratteristica che giudichiamo fuori dalla norma o straordinaria. Ad esempio, un recruiter potrebbe rimanere colpito da un candidato che parla 8 lingue o da uno che ha girato il mondo in bicicletta, preferendo questi ultimi ad altri potenziali assunti. Ma sono davvero quelle le caratteristiche che sta cercando? Magari sì, ma è importante quanto meno porsi il problema.

10. Cinismo naïve: quando le emozioni governano il nostro giudizio. Questo pregiudizio si verifica comunemente quando una delle due persone all’interno di una conversazione è facilmente influenzabile dalle abilità oratorie dell’altra persona.  Nel recruiting, questo bias viene spesso sperimentato da dipendenti junior o manager che hanno poca esperienza nella selezione del personale. Qualsiasi buon recruiter sa che ogni competenza deve essere supportata da risultati ed esempi concreti.

11. Il bias dell’entomologo: quando, al contrario del cinismo naïve, facciamo delle scelte senza essere guidati dalle emozioni. Questo pregiudizio porta ad assumere qualcuno solo sulla base di fatti ed elementi tecnici. Se stai pensando ‘Okay, qual è il problema?’, potresti aver dimenticato l’importanza delle soft skills. Un candidato con eccellenti conoscenze tecniche e comprovata esperienza ma con un atteggiamento pessimo, oppure un bravissimo commerciale che ha però la speciale abilità di intossicare l’ambiente di lavoro, non sono sicuramente la scelta ideale.

12. Effetto Dunning-Kruger: è una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità. In parole povere, sono persone incompetenti che pensano invece di essere eccezionali.

Conoscere l’esistenza dei bias cognitivi è un primo passo per un recruitment più obiettivo. Per individuare e attrarre i talenti migliori, il dovere di un recruiter è quello di chiedersi se le proprie decisioni sono influenzate da altri fattori, correggendo eventualmente le proprie valutazioni.

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